A scuola, in famiglia, nel contesto sociale, e anche nel judo il temuto “non ce la faccio” dell’adolescenza arriva.
Il bambino inizia judo, cresce diventa ragazzino, cresce ancora ed eccolo adolescente. Il suo primo significativo passaggio e compito di crescita: l’adolescenza.
Fase del ciclo di vita alla quale si approda con le esperienze le consapevolezze le sicurezze e gli insegnamenti acquisiti da bambino.
Essere adolescente significa sentirsi diversi significa assumersi responsabilità, lavorare di più, decidere “cosa farò da grande” sperimentare legami più intimi trovare autonomia. Compiti complessi non aiutati se vogliamo anche da una società che poco spinge a vedere “un pò più in là” di oggi
.
Con l’adolescenza cambia non solo la percezione di sè del proprio corpo, delle proprie emozioni, cambia la percezione degli altri, di tutto ciò che circonda il proprio mondo. Si desidera quello che non si poteva avere prima e allo stesso tempo non si vuole lasciare quello che si ha. Cambiano la qualità ed l’intensità delle difficoltà, cambia la visione del futuro, nascono domande su domande e la famiglia da rappresentare solo un aiuto tende a diventare qualcosa che ostacola.
Cosa accade nel judo?
Come si può aiutare il bambino poi ragazzino e poi adolescente a superare questa fase del “non so cosa fare”?
Alle prime sconfitte in gara inizia a preferire il primo amore, fonte di spensieratezza e di attenzione unica. Ai viaggi e a continue diete inizia a scegliere allegre uscite del sabato sera con gli amici. Segnali questi di una vicina e prossima scelta.
Esiste un modo per scoraggiare il droup-out (abbandono) del judo, importante spazio educativo e formativo per l’adolescente?
La risposta c’è, ed è pre-vedere, vedere in anticipo.
Agire prima quando c’è il bambino. Insegnare i principi sani, insegnare l’equilibrio delle cose, insegnare a “sognare” prima che diventi adolescente, prima che possa decidere di lasciare una preziosa guida: il judo.
Insegnare a crescere.
Quando si è adolescenti si percepisce meno forte il vincolo al volere genitoriale, si può decidere se continuare a frequentare il dojo così come, purtroppo, anche decidere di smettere.
Il male minore? Lascia il judo per altri sport.
La peggiore scelta? Stop all’attività sportiva e dedizione al mondo virtuale. Si può continuare ad accettare sacrifici, disciplina, sfide, o si può scegliere la leggerezza del divertimento senza regole. Si può desiderare di continuare a puntare a sfide e obiettivi o si può vivere aspettando il giorno dopo, magari davanti al computer o a chattare ore su Wathsup.
Pre-vedere. È necessario che il primo Maestro insegni pensando che quel bambino piccolo domani sarà un adolescente che sceglierà cosa fare del suo tempo. È necessario allenare la sua mente a crescere ad andare oltre e soprattutto insegnare al bambino di oggi a capire come la sua mente cresce.
Il cervello è come un muscolo, si sviluppa e cresce con la ginnastica. Se si allena il cervello a crescere si allena la capacità di decidere, di scegliere, di immaginare e sognare futuri obiettivi positivi gratificanti efficaci e funzionali alla vita.
Primo passo dunque spiegare al bambino che il suo cervello è un muscolo, più lo allena più lo stimola più questo cresce “forte e abile” più tutto quello che è collegato al cervello cresce e cresce meglio di prima!
È possibile farlo ad esempio (metodo che prediligo in assoluto) utilizzando le metafore o le favole costruite ad hoc. Il bambino si diverte, apprende e la sua mente si allena a crescere.
E, se un domani, l’adolescente così formato dovesse decidere di lasciare il judogi, se un domani dovesse lasciare la mano del Maestro, quest’ultimo saprà di aver dato lui strumenti forti reali puliti. Le probabilità che l’adolescente effettui scelte sane saranno maggiori.
La scelta.
Dr.ssa Loredana Borgogno