“La forza di una persona è il risultato di quello che ha superato”. (A. Einstein)

Aiutiamo il bambino a comprendere cosa può fare, a partire dalle semplici cose, lasciando intatta la sua serenità.
Ma che generazione…mi scuso maestra, mio figlio (bambino di 9anni) ha ancora bisogno che la mamma gli venga a portare le scarpe da ginnastica…neanche lo zaino si sa preparare“.
Tutto detto con tono sorridente dalla mamma che, rincorrere la maestra all’ingresso per porgerle le scarpe. La mamma, con la mano manda un bacio, coperto dalla mascherina, al figlio, che è in fila, e di corsa se ne va. Lei sorride, tutto per lei è detto con amorevolezza, lei sa bene che è una battuta così “normale” oggi.
Normale però non lo è per il bambino.
Cosa accade in lui? Cosa pensa mentre è li tra tutti i suoi compagni? E, poi, davanti alla maestra! Cosa prova?

Quanto breve può essere una frase da dire, ma quanto più lungo può essere il suo effetto. Lui entra a scuola e, a differenza della mamma, lui non dimentica non cancella. Nella sua testolina si apre un cassetto dentro il quale entra un ricordo emozionale, non un ricordo razionale!
Ricordo di imbarazzo? Ricordo di “non sono bravo”? Ricordo di “che figuraccia!” Ricordo di rabbia?
Sceglierà lui, deciderà lui.

Difficile che il ricordo possa essere legato a un’emozione di gioia o di leggerezza. Lui non ha filtri mentali, lui è pancia che prende, lui è cuore che ascolta tutto così come arriva. Noi adulti pensiamo, anzi spesso “crediamo” che i bambini comprendano quanto diciamo, con il nostro stesso significato. Non è così.
I bambini non sono recipienti da riempire, quante volte l’abbiamo letto e sostenuto, eppure poi agiamo come se lo fossero.

Lui elabora come può con quello che ha, che non è quello abbiamo noi. E chissà, magari la cartella non imparerà a farla, tanto per lui c’è: “non sono capace“.
Il bambino non ragiona sulla “generazione”, il bambino si ferma lì: “mio figlio ha ancora bisogno che la mamma gli venga a portare le scarpe…neanche lo zaino si sa preparare”.
La fretta, le abitudini, ci portano ad una leggerezza “comunicativa” che potrebbe essere evitata, magari utilizzando anche stesse parole, disponendole diversamente.

La mamma potrebbe dare le scarpe al bambino e non alla maestra e, semplicemente dirgli: ” ecco tesoro, ti sei dimenticato di mettere le scarpe dentro lo zaino, mi raccomando fai una buona lezione“.
Ci sarà poi il momento a casa per ricordargli di controllare lo zaino, e se non è sufficiente, possiamo coinvolgerlo in un gioco per accompagnarlo alla responsabilità, ai bambini piace giocare e competere.
Preparate un bel cartellone tutto colorato, simpatico, con i giorni della settimana, fate scegliere a lui il suo simbolo, il disegno che più lo entusiasma.
Per ogni giorno che completerà la cartella, potrà attaccare il suo disegno. Per ogni giorno che dimenticherà qualcosa metterete voi il vostro simbolo.
Al termine della settimana insieme chiudete il gioco e verificate chi ha vinto la sfida. Chi vince decide la “simpatica” penitenza che dovrà fare l’altro.

Un esempio che mi è rimasto impresso: “mamma per tutta la settimana non devi chiamarmi scricciolo!”.
Ovviamente aveva vinto il bimbo!
Buon lavoro stupende mamme!
Loredana
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Dimmi, ti ascolto, mentre tu cammini verso il tuo cambiamento... Psicologa, dopo un passato di atleta di livello mondiale, ho sentito che era giunto il momento di dedicare le mie energie, la mia passione, a chi vuole cambiare, a chi sente di voler superare l' "avversario" nascosto che oggi non gli consente di andare verso il suo traguardo.