“Dr.ssa ho aspettato un po’ a decidermi. Non mi capacito di questa mia debolezza. Sono qui, non ho voglia di uscire, faccio mille cose e non ne concludo una. La mia compagna continua a dirmi che devo reagire, muovermi. Non riesco, non trovo spinta in alcuna cosa. Non mi ricordo di esser stato cosi. Sono arrabbiato con me stesso.”
Così mi apre le porte al suo malessere Tudor (nome di fantasia) un uomo che, come tanti oggi, vive un dopo e un durante pandemia con un atteggiamento interiore di “apatia” e con un comportamento nel quale non si riconosce.
Tudor porta un disagio, porta una condizione psicofisica che lui definisce sconosciuta e, soprattutto, porta la rabbia verso se stesso.
Un uomo, con moglie e un figlio, che non si dà il permesso e non si concede di “non stare bene”, un uomo, che altri – per usare la sua espressione – soffocano.
Un inizio di percorso insieme è servito per definire bene il momento in cui tutto questo è iniziato. Se non si sa da dove si parte, è complesso comprendere dove voler arrivare.

Abbiamo cercato meticolosamente, così come si cerca una puntina caduta su un pavimento a mosaico di mille colori, con delicata attenzione e pazienza.
Lui, vero protagonista della sua avventura esplorativa, io ombra attenta.
Arriva un momento, in cui narra un episodio, procede senza soffermarsi, non si accorge di nulla.
È in quel momento di ascolto del racconto che, con leggerezza lo fermo e consegno a lui una riflessione, facendo notare un’analogia.
“Cavoli dr.ssa ma può essere questo lo start di tutto?”.
La risposta giunge nel proseguire la narrazione.
Tutto sì, è partito quando mesi e mesi prima, giunge a lui, una precisa e apparentemente “banale” richiesta dall’esterno, una richiesta che modifica non solo la sua routine quotidiana.
Una richiesta che tocca una di quelle infinite particelle del suo universo intimo che parlano del suo bisogno di sentirsi presente, di esserci ereditato da un tempo passato.
Lo start: “Tudor non è più necessario che al mattino fai … in quanto adesso sono a casa e posso pensarci io …”.
La pandemia ha cambiato tanto della quotidianità di T., i tempi di organizzazione, il modo di lavorare, gli spazi di socializzazione, il tempo per sé per la famiglia, ma nulla di tutto ciò e’ stato così forte come quel: ” Non è più necessario che tu”.
Sorpreso un po’, amareggiato molto (cosi si sente), di constatare quale “puntina” fosse responsabile dell’ inizio del suo malessere, T. riconosce in una breve frase, in alcune semplici parole dette, un dolore per nulla trascurabile, tuttavia passato sino a quell’istante inosservato.
Poche parole ascoltate alle quali nell’immediato, peso non è stato dato.
Parole che in quel preciso momento della vita, dove tutto è stravolto, dove tante sono le incertezze scoperte su se stessi e sul mondo, hanno velocemente riavvolto la pellicola della sua vita, facendo ritorno ad un momento passato.
Un giorno in cui qualcuno ha detto lui: “Non è più necessario T. che tu venga, tutto è sistemato, la casa è stata venduta, tutto finito”.
In quell’occasione T. ricorda bene come si sentì, come quelle parole hanno significato e segnato una chiusura definitiva, un addio, una fine, un saluto a qualcosa che non avrebbe più visto, uno stato di impotenza.
Dunque in T. si è riaccesa la “paura”!
Paura di perdere per sempre qualcosa, paura di dover ripartire proprio da lì, senza più qualcosa, paura di non farcela senza quel “pezzo” di abitudine.
La memoria emotiva del dolore di allora lo ha avvolto e bloccato nell’oggi.
La rabbia verso se stesso che lui prova, appare come rabbia dovuta al senso di impotenza, esattamente come ad allora.
Non può ammettere che un dolore sia più forte della sua volontà di azione.
Prendiamo tempo necessario per approfondire e descrivere con cura le sue emozioni, le sue percezioni, i pensieri su di sé.
Decidiamo di costruire insieme una mappa, un disegno che rappresenti le tappe di questo suo “viaggio” doloroso.
Ho chiesto a T. per prima cosa di dare un titolo al suo viaggio e lui, senza esitazione: ” – Il naufragio sull’isola sconosciuta -, perché se è vero che ho trovato lo start, è vero anche che naufrago in un ricordo dove ci sono emozioni che non so come affrontare”.
Da qui ha inizio il suo viaggio, abbiamo iniziato a esplorare la sua isola.
Ha incontrato vento, pioggia, ha trovato poi uno spazio aperto, qui ha costruito la sua capanna.
Un questo momento è spuntato il sole, il sereno è finalmente arrivato.
Abbiamo girato ogni angolo dell’isola, camminato per ogni sentiero, raccolto rami che servivano per scaldarsi e lasciato indietro altri che non avrebbero dato calore.
Si è fermato a respirare dove ha percepito aria leggera, ha descritto i colori dell’isola come se fossero tanti e di più tonalità, non più circondato da un solo spento colore.
Il naufragare è apparso così come un’avventura a piedi scalzi, senza prima senza dopo, svestita di tutto.
Ha costruito la nuova capanna all’interno della quale ha depositato risorse preziose, alimenti nuovi, gemme di nuovi fiori.
“Dottoressa adesso posso permettermi di ripartire perché so che su quest’ isola posso tornare quando voglio, qui posso prendermi il tempo di esplorare ed entrare nella mia capanna, dove c’ è tutto quello di cui necessito.”
Grazie T. è stato un magnifico viaggio.
Buone cose Loredana
Condividi questo contenuto su...
Dimmi, ti ascolto, mentre tu cammini verso il tuo cambiamento... Psicologa, dopo un passato di atleta di livello mondiale, ho sentito che era giunto il momento di dedicare le mie energie, la mia passione, a chi vuole cambiare, a chi sente di voler superare l' "avversario" nascosto che oggi non gli consente di andare verso il suo traguardo.