La psicologia dello sport si occupa del benessere della persona, favorisce l’autonomia e persegue l’eccellenza nella performance e/o prestazione. Per il professionista, lo psicologo, l’eccellenza equivale alla capacità dell’atleta di utilizzare tutte le risorse psicofisiche di cui dispone nella misura reale in cui le stesse sono presenti.

L’emozione e il linguaggio sono risorse della persona, sono processi che svolgono funzione adattiva sin dai primi mesi di vita, sono processi che consentono al bambino che cresce di attribuire un significato e un valore alle sue esperienze e al suo vissuto. È possibile, addentrandoci nella letteratura del noto studioso Damasio, intendere l’emozione come un guardiano che conduce e orienta tutti i processi cognitivi superiori della persona quindi anche il linguaggio. Damasio, uno dei primi studiosi a superare l’errore Cartesiano (res cogitans res extensa) sostiene mente e corpo come entità non distinguibili da un confine netto e rafforza il suo pensiero con il concetto di marcatore  somatico.

Lo stato emotivo provato dal piccolo judoka al momento della sua prima capriola, del suo primo innocente incontro con un altro bambino guida la modalità espressiva del linguaggio non verbale del corpo e del linguaggio verbale. Il linguaggio corporeo è movimento, distanza, postura, variazioni fisiologiche temporanee, è linguaggio espressivo del volto. Il forte legame tra emozione e linguaggio del volto è spiegato da Ekman che afferma esserci universalità del linguaggio espressivo del volto delle emozioni primarie, spontanee e innate come la rabbia la paura o la gioia.

Il judo favorisce l’espressione delle emozioni perché accende nel bambino una sana inter e intra competitività, perché il piccolo judoka vuole esser il più forte, il più bravo per i suoi genitori, per tutti. Il processo emotivo che si attiva riflette e provoca temporanei cambiamenti (marcatori somatici) sul corpo, ben precisi ben localizzati che il bambino percepisce e che non riesce a decodificare. Il professionista può guidarlo al riconoscimento funzionale degli stessi e alla consapevolezza la cui efficacia non ricade solo a favore del judo, coinvolge ogni ambito della vita.

L’emozione è un processo cognitivo multidimensionale che include il corpo la mente e la sfera sociale-relazionale del bambino. Il legame emozione attivazione del marcatore somatico e linguaggio del corpo è inevitabile, è automatico, è riconoscibile e modulabile. Il linguaggio che il bambino produce con il corpo per chi osserva è parola, è la voce silente del piccolo judoka. Marcatori somatici potrebbero essere il battito cardiaco che cambia, una eccessiva sudorazione, epistassi breve, un improvviso abbassamento o innalzamento della temperatura corporea, emicranie, ronzii nelle orecchie, segnali questi che potrebbero attivarsi in una situazione di richiesta immediato di compito come quello della competizione percepita o provata dal bambino nel dojo a scuola con gli amici. Il bambino sa che accade qualcosa, non sa bene che cosa, da dove parta dove inizi dove finisca, in silenzio si domanda: cosa mi succede?”

Ekman e Damasio suggeriscono come è possibile arrivare a leggere quei minuscoli impercettibili riflessi che determinano il linguaggio espressivo del viso, e come approcciare al corpo che si attiva. Lo psicologo dello sport è attento alla sfera emotiva e al linguaggio che la stessa attiva. Il bambino può vivere attivazioni che possono imbarazzarlo, o impedirne espressione di fisicità. Il judo richiede contatto fisico, richiede accettazione di differenze fisiche in termini di forza agilità capacità, e non sempre il bambino riesce ad accettare questo perché spesso non è consapevole di questo. Il corpo produce variazioni che il piccolo vive ma non esprime verbalmente. Il professionista può indagare queste difficoltà e consentire al piccolo judoka di riconoscerle esprimerle o utilizzarle come risorse.

Quando il bambino si appresta all’incontro sperimenta l’attivazione psicofisiologica data dalla paura di perdere, dalla rabbia di non riuscire a prevalere sull’altro dal timore di non essere bravo per i genitori, non riconosce cosa accade nel corpo, sperimenta passivamente. L’emozione della rabbia ad esempio può esprimersi in un linguaggio corporeo visibile in assenza di coordinazione, i movimenti perdono di fluidità, il bambino inciampa, è vulnerabile. Favorire nel bambino l’acquisizione di strategie di risposta efficace alle emozioni porta benessere psicofisico nonché sicurezza.
Guidarlo quando è piccolo alla consapevolezza significa favorire l’adulto di domani nelle sfide della quotidianità.

Dr.ssa Loredana Borgogno
Per informazioni: www.comunicare-imsieme.com

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Dimmi, ti ascolto, mentre tu cammini verso il tuo cambiamento... Psicologa, dopo un passato di atleta di livello mondiale, ho sentito che era giunto il momento di dedicare le mie energie, la mia passione, a chi vuole cambiare, a chi sente di voler superare l' "avversario" nascosto che oggi non gli consente di andare verso il suo traguardo.