“Oggi niente judo perchè non hai….”
A volte il genitore perchè il bambino impari regole e comportamenti si vede costretto a punire il proprio figlio utilizzando una strategia che sa essere di forte impatto.
La punizione “mirata” è il gesto più efficace e funzionale all’insegnamento e apprendimento dell’autodisciplina?
Imporre al bambino la rinuncia di un’ora di divertimento di regole di attività contro l’analfabetismo motorio che offre il judo, è una via che con il passare tempo può rivelarsi più nemica che amica dell’educazione e può rivelarsi deleteria per la relazione figlio-genitore.

Insegnare la gestione del tempo insegnare la responsabilità utilizzando esempi pratici proponendo “sfide” premianti utilizzando uno stile comunicativo è invece una modalità costruttiva che favorisce la crescita e il cambiamento del bambino.
Punire un bambino produce un risultato nell’immediato perchè il piccolo interrompe il comportamento o l’azione che non si approva. Tuttavia spesso il bambino nel giro di poco ripropone medesime azioni, se non anche più disturbanti.
Il genitore ripete a sua volta la punizione e così parte un circolo vizioso difficile da interrompere: ” tu mi fai capricci non fai i compiti non mi ascolti non….ed io ti punisco, niente judo niente divertimento”.

È importante da genitore comprendere che la punizione agita a scopo educativo in realtà per il bambino può essere l’espressione di un atto di potere che il bambino stesso subisce non senza effetti collaterali.

foto repertorio personale


Cosa accade?
Il bambino punito associa essere grandi ad essere forti e potenti, ed essere piccoli ad essere sottomessi, il tutto tradotto in: rabbia!
Emozione del bambino che ha tanto di “pancia” e poco di razionale riconducibile a: ” aspetta e vedrai cosa ti combino! Mi punisci sei grande forte, io ti frego! faccio quello che tu non vuoi perché ho solo questa come arma”.
Si innescano così combattimenti tra “due” bambini (l’adulto si trasforma inconsapevolmente in un bambino sfidante) uno che pensa adesso ti faccio vedere come ti fermo e l’altro che medita già la vendetta.

Il bambino non ha strumenti per difendersi, una punizione mette inevitabilmente chi la decide contro chi la subisce.
“Niente judo! Così impari a …”
ll bambino “non dimentica” la ferita perchè la stessa sigilla un ricordo emozionale che è forte e profondo.
Ogni volta che la mente del bambino di oggi (e dell’ adulto che sarà domani) percepirà una condizione di “sottomesso” la sua rabbia esploderà e verranno attivati comportamenti non efficaci alla situazione.

Il bambino punito cresce portandosi dietro il disagio di parole dette a lui per rimprovero, può sentirisi sbagliato, non adeguato, provare intima vergogna.
La scelta di punire un bambino negando un’ora di judo, lezione guidata da un Maestro che insegna regole, che lo fa divertire chiedendo però in cambio impegno e rispetto, può non restituire l’apprendimento di un’autodisciplina bensì contribuire ad accrescere sentimenti di “vendetta”.
Il judo non è nè premio nè punizione, è disciplina. Il bambino si diverte e lo fa seguendo regole e dovendo accettare di vincere o perdere nel rispetto di sè e di altri.

Esempio:
” basta oggi non vai a fare judo così la prossima volta…”
Calandosi nei panni del bambino, cosa si prova? Cosa si vorrebbe fare? Qual è la parte del corpo che reagisce?
Difficile non sentirsi nervosi, arrabbiati e “esplosivi”!
L’adulto ha strumenti ha esperienza può adottare uno stile differente e funzionale all’autodisciplina:
“tesoro voglio chiederti una cosa (adottando espressione triste NON arrabbiata!) mi sembra di capire che tu vuoi che io ti punisca e non ti faccia andare a judo dai tuoi amichetti per farti capire che questa cosa non si fa… ho capito bene?”
Oppure:
“…non approvo per nulla quello che hai fatto (detto) però sono certa/o che quando l’hai fatto (detto) non era tua intenzione farlo per rendermi triste…”
O ancora:
” dimmi tesoro ma se io ti avessi detto prima che quel comportamento provocava in me tristezza…..l’avresti fatto, detto?”

Tornando nei panni del bambino cosa si prova? Cosa si percepisce? Cosa cambia?
Forse si sente un pò in colpa il bambino, tuttavia in questi casi è una colpa costruttiva perchè stimola il ragionamento attivo e non reazione-attacco.
È probabile che nel tempo dialoghi come quelli citati di esempio attivino e favoriscano nel bambino risorsa di riflessività di consapevolezza di autoregolazione piuttosto che “te la faccio pagare!”
Quando si punisce un bambino senza dubbio nell’immediato si ottiene che lo stesso non ripeta quanto ha fatto, ma quanto altrettanto si può esser certi che l’azione venga compresa come educativa e non invece “subita” solo come potere?
Il bambino non può decodificare come l’adulto non perchè “vuoto”, semplicemente perché con meno esperienza.

Dialogare per comunicare e non per punire può modificare e migliorare nel bambino la disponibiltà all’ascolto e al rispetto del genitore.
Il bambino che ascolta che comprende non urla perchè sottomesso chiede scusa con uno sguardo e perchè no con un abbraccio o un sorriso.
Si interrompe la lotta tra due bambini e si favorisce l’avvicinamento la relazione genitore – figlio.
Il judo rientra nel dialogo educativo. Il bambino sul tatami è solo in apparenza libero. Il divertimento è vero ma è sovraordinato dalle regole dal rispetto dalla responsabilità e dall’occhio autorevole del Maestro.
Togliere un’ora di judo per punizione può significare perdere tempo prezioso di apprendimento di autodisciplina e soprattutto favorire nell’attimo della punizione la spiacevole associazione judo-rabbia.
Se ci si sofferma sul viso sorridente del bambino sul tatami … difficile pensare di poter negare allo stesso tale gioia ‘educativa’.

Dr.ssa Loredana Borgogno
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Dimmi, ti ascolto, mentre tu cammini verso il tuo cambiamento... Psicologa, dopo un passato di atleta di livello mondiale, ho sentito che era giunto il momento di dedicare le mie energie, la mia passione, a chi vuole cambiare, a chi sente di voler superare l' "avversario" nascosto che oggi non gli consente di andare verso il suo traguardo.

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