Forse una delle domande più difficili a cui rispondere, soprattutto, quando, a farla è un bambino ancora puro, privo di barriere umane e, con la sola luce della felicità negli occhi.

Solitamente è l’adulto che, proiettando speranze e aspettative sul bambino, come se vedesse da subito un “prodigio” ed etichettandolo futuro campione, viene a noi tecnici per chiederci o peggio ancora suggerirci il percorso migliore per suo figlio. Quando questo succede, il più delle volte, siamo pronti a rispondere, ci liberiamo dalle loro trappole verbali e riprendiamo le redini. Sono adulti, possiamo permetterci di esprimere liberamente il nostro pensiero, perché consapevoli che se lo vogliono hanno a disposizione strumenti per elaborare le informazioni e le situazioni.

Del tutto differente, quando è il bambino che, vivendo accanto ad adulti per lui “perfetti”, decide di seguirne l’esempio, costruisce il suo modello da imitare, e nella sua testolina pensa di fare tutto quello che fa l’uomo grande, l’uomo che è forte, che riesce in tutto, che fa tutto bene, colui che può tutto per lui. Ed ecco che con l’innocenza intestinale – espressione che utilizzo per esprimere l’emozione genuina –  arriva e chiede: “maestro come faccio a diventare un campione?”

Il bambino guarda quello che i suoi occhi possono vedere, realizza quello che la sua mente può realizzare, non ha strumenti per andare oltre al “grande uomo” che ha davanti. Per lui è tutto possibile, basta chiedere e poi fare. Il bambino ragiona per causa effetto; se tocco mi faccio male, se mangio tanto cresco, se urlo mi sgridano, se faccio il bravo arriva il regalo. Non ha la dimensione del percorso in divenire, lui è sicuro che “se io faccio così divento un campione”. Quanta responsabilità, dunque, nel rispondere!

“Sai, per diventare un campione bisogna provare tante tante volte…”. Il bambino non ha la misura del tanto o del poco. Come quantificargli tante tante? Quanto è il tanto per un adulto e, quanto quello del bambino? 

“Sai, per diventare un campione si fanno tanti sacrifici…”. Parole che non arrivano a lui. Il bambino non conosce il significato del sacrificio. Alla sua età le cose accadono in modo naturale, ha fame e trova cibo, vuole giocare e trova con cosa o con chi giocare, quando è stanco si riposa, quando è vacanza si parte! Il bambino non conosce il senso di, perdere oggi per avere domani.

“Sai, per diventare un campione devi essere tanto forte”. Espressione che lo condanna a rinunciare ad una umana debolezza, quella sana debolezza che spinge a fortificarsi, quella sana debolezza che aiuta ad amare ed essere amati, quella debolezza che diventa forza, quella debolezza che consente di esprimere tutte le emozioni, compreso il pianto.

“Sai, per diventare un campione bisogna vincere tutto”. Quale peggior messaggio. La prima delusione, la prima sconfitta lo inizierebbero verso la convinzione del “io non valgo, io non posso, io non sono capace”.  Esiste forse una campione che vince tutto? Non possiamo non riconoscere che il campione viaggia su una linea di tendenza, non sulla via della certezza.

“Sai, tu sei un campione anche se non vinci la medaglia”. Non è reale. Il bambino vive di emozione, e “sente” bene la gioia di chi porta una medaglia e la rabbia o tristezza di chi non l’ha conquistata. Essere piccoli non equivale ad assenza di ragionamento. Inoltre così rispondendo non gli consentiamo di comprendere l’esistenza delle diversità, degli opposti. Se c’è amore c’è odio, se c’è vittoria c’è sconfitta è la vita!

Farà la differenza come sceglierà di viverle, tuttavia resta un dato di fatto che sono situazioni che prima o dopo anche lui toccherà con mano. Perché mentire? Così quando Geremy (nome di fantasia) è venuto a me e mi ha chiesto: “maestra come faccio a diventare un campione?”

Semplicemente ho lasciato andare il cuore e…

_ Dimmi Geremy chi è per te un campione?

G: Il campione è come quel bravo calciatore che vedo in televisione che corre e segna. Io voglio essere così, il più forte di tutti a judo.

_ Sai, se tu ci pensi sei già un campione.

G: No, maestra, perché io non faccio cadere tutti a judo.

_ Geremy dimmi, quando non fai cadere tutti, cosa fai?

G: Faccio ancora la mossa e riprovo.

_ Vedi il campione fa esattamente così, cade, si rialza. Non si ferma, sa che può succedere.

G: Però a volte io piango Maestra, il campione non piange. In televisione non lo vedo piangere.

_ Allora dimmi Geremy, quando sei felice ma proprio tanto felice cosa fai?

G: Rido tanto e a volte salto.

_ E, quando sei triste triste cosa fai?

G: Bè a volte piango, o faccio la faccia triste.

_ Quando sei felice vieni a judo?

G: Si.

_ E, quando sei triste o hai pianto per la scuola, vieni a judo?

G: Si vengo perché qui mi piace.

_ Allora vedi, sei un già un campione, perché torni a fare judo anche se sei triste per altre cose.

G: Maestra però io non vinco la medaglia?

_ Dimmi Geremy, a scuola quando prendi un voto così così cosa fai?

G: a casa faccio ancora i compiti perché poi la maestra li guarda e poi vado a giocare.

_ Vedi il judo è così, anche se non prendi la medaglia oggi, puoi tornare a casa pensare un pochino cosa puoi aver fatto così così, e poi andare a giocare, un po’ come rifare i compiti.

G: Però a scuola mi dicono che non ho vinto la medaglia.

_ Geremy, quando un tuo compagno di scuola prende un brutto voto tu gli vuoi meno bene?

G: ma no lui è mio amico.

_ Vedi, tu sei un campione, sai accettare i tuoi amici così come sono. I tuoi amici ti vogliono bene lo stesso.

G: Però avere la medaglia è bello.

_ E’ vero hai ragione Geremy, però non è la medaglia che dice se tu sei bravo o non sei bravo. Hai ragione vincerla è bello, però è bello anche sapere che hai provato a fare tutto quello che potevi fare, e che potrai provarci ancora. Pensa se non potessi più provarci, sarebbe triste.

G: E’ vero maestra però a volte ci provo davvero a fare bene una mossa ma non viene lo stesso.

_ E’ vero ho notato che a volte non ti viene. Geremy, tu vedi solo il sole, o conosci anche la pioggia? G: il sole la pioggia e poi ho visto anche la neve.

_ E, conosci solo il caldo?

G: No, c’è anche il freddo e non mi piace.

_ Vedi anche la natura ci sono giorni in cui riesce a far spuntare il sole e giorni in cui non ce la fa. Così come non c’è solo vittoria e non c’è solo sconfitta, ci sono tutte e due. Fanno parte della nostra vita, il campione lo sa.

G: Allora maestra io dico che sono molto felice se vinco la medaglia e che non sono molto contento se la perdo, e che però poi ci provo ancora perché posso prenderla un’altra volta.

_ Esattamente Geremy, proprio come un campione. Continua a fare quello che ti piace fare come fa un campione.

G: C’è la nonna ciao Maestra vado, però ci vediamo tra due giorni, torno così divento un campione.

Geremy è andato via così con il suo sorriso genuino. Ha raccolto parole come felice, triste, vittoria, sconfitta, vero, ragione, accettare, riprovare, provare e,  tutte legate alla parola campione!

Dr.ssa Loredana Borgogno
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Dimmi, ti ascolto, mentre tu cammini verso il tuo cambiamento... Psicologa, dopo un passato di atleta di livello mondiale, ho sentito che era giunto il momento di dedicare le mie energie, la mia passione, a chi vuole cambiare, a chi sente di voler superare l' "avversario" nascosto che oggi non gli consente di andare verso il suo traguardo.