I bambini passano attraverso diverse e distinte fasi di sviluppo. Iniziano a muoversi come bambini e in men che non si dica, li ritroviamo adulti. Sono piccoli e facciamo fatica a farci comprendere, sono grandi e il problema si ripropone, perché? Accade che, più o meno consapevolmente, parliamo loro da adulti quando sono bambini e parliamo a loro da bambini quando sono adulti, qui, nascono inevitabili incomprensioni e si perde la via per arrivare a loro attraverso la comunicazione.
Prima considerazione importante è ricordare che nei primi anni di vita nel bambino, durante le fasi di sviluppo, avvengono molteplici cambiamenti; cambiamenti fisici, comportamentali, cambiamenti nello sviluppo del cervello. In quest’ultimo in particolare accade tanto, accade di tutto, si forma e si struttura tutto ciò che gli consentirà di essere indipendente di essere un “individuo pensante”. Tra basi genetiche e processi di adattamento, si avvia una sorta di selezione neurale, si pensi un po’ all’azione del potare, ciò che non serve si elimina, e, ciò che serve, si modifica, si consolida.
È soprattutto nei primi tre anni di vita che c’è una incredibile e veloce crescita del cervello, che, successivamente completa lo sviluppo con l’adattamento all’ambiente. Sono i genitori e le persone che più vivono accanto al bambino che possono fare tanto per aiutarlo a stabilire e creare modelli adeguati per la formazione permanente e sana del cervello. È importante non dimenticare che c’è un processo in corso di sviluppo del cervello, perché questo rende consapevoli noi adulti di una inconfutabile realtà, il bambino non è e non può essere in grado di comprendere le cose come noi immaginiamo che possa avvenire.
Il bambino non ce la fa, non perché è lui che non vuole o lui che “non capisce”; è la sua struttura che è ancora in sviluppo e, che, non gli consente l’elaborazione avanzata delle informazioni. A questo si aggiunge che il bambino non ha a disposizione l’esperienza per poter interpretare adeguatamente il senso delle informazioni che a lui giungono. Come insegniamo loro prima a gattonare, poi a camminare, poi a correre, perché siamo consapevoli che il suo corpo ha bisogno di tempo per crescere prima di eseguire determinati movimenti, allo stesso modo dobbiamo immaginare che questo vale per la sua capacità di comprensione.
Se vogliamo che il bambino ci comprenda e ci ascolti dobbiamo parlare con il suo linguaggio, non con il nostro. Tornare e pensarci bambini anche se adulti. Attenzione che questo non significa modificare il tono di voce (vocine strane) nè diventare “pagliacci” nella mimica o nel parlare, il bambino non è stupido, è semplicemente piccolo. Nel suo essere piccolo lui è intelligente tanto quanto lo siamo noi come esseri adulti. Significa comunicare portandosi al suo livello di conoscenza. Pensiamo ad espressioni tipiche, come: “devi andare bene a scuola altrimenti da grande non troverai lavoro, non avrai i soldi per …” o come: “se vai bene a scuola ti faccio un bel regalo … perché sei stato bravo…” o ancora: “se non metti a posto i giocattoli niente televisione ..”
Sono questi solo alcuni esempi di comunicazione non funzionale all’ascolto perché in realtà il bambino non può andare “oltre” a quanto state dicendo. Il bambino non può comprendere (siamo nel primo esempio), la responsabilità di “avere un lavoro”, nel suo mondo questo non esiste, non ha “vissuto”. Non può comprendere, (riferendoci alle successive espressioni), che il vostro amore c’è indipendentemente da quello che lui fa, lui legge e interpreta seguendo lo schema causa – effetto (se faccio sono … se non faccio non sono).
Accade quindi che il bambino si rifiuti o si ribelli inconsapevolmente alla richiesta dell’adulto come per difendersi da ciò che non conosce o da ciò che lo spaventa come ad esempio pensare (e lui pensa questo proprio perché è in evoluzione) di perdere l’amore dell’adulto per un suo comportamento. Quando si teme di perdere qualcosa la reazione per molti (anche nell’adulto) può essere di attacco, contrasto, aggressività perché si attiva l’istinto di sopravvivenza. Non possiamo chiedere al bambino di leggere una parola se prima non gli abbiamo insegnato a riconoscere le singole lettere, dunque non possiamo aspettarci che il bambino ascolti e comprenda qualcosa che nel suo mondo interno ancora non c’è; un programma ancora non installato.
Se desideriamo che il bambino (ma questo vale anche per adolescenti) ci ascolti è necessario entrare nella loro dimensione fisica, intellettuale, emotiva. Allo stesso modo accade che, in adolescenza o adolescenza prolungata, età in cui il figlio ha già vissuto cambiamenti importanti fisici, relazionali, sociali, l’adulto parli lui come se fosse ancora bambino: “studia bene … lavati i denti…non mangiare in fretta …, sistema i vestiti….”, esattamente quello che si direbbe ad un bambino!
E, nuovamente, ci si scontra con ribellione, contrasto, e non si riesce a far a meno di dire: ”mio figlio non mi ascolta, non mi capisce”. Crescere un figlio è eccitante, stimolante, impegnativo, è un percorso che si snoda tra decisioni, scelte, rinunce, conquiste. È un percorso in cui si sviluppa un legame che durerà una vita e, che, dovrà fornire il bambino l’adolescente l’adulto delle necessarie risorse interne per sviluppare l’autostima e la capacità di relazionarsi positivamente con gli altri. Crescere un figlio significa scoprire giorno per giorno chi è veramente questa nuova meravigliosa persona che, inizialmente, chiede continua presenza e che, nel tempo, chiede fiducia e libertà di sperimentare.
Dr.ssa Loredana Borgogno
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