L’attività fisica o fare sport per il bambino (premetto che personalmente con il termine “bambino” intendo riferirmi alla fascia di età che non supera i 12anni) si può leggere come un’occasione per avviare salutisticamente la propria vita. Numerosi i vantaggi fisici, sviluppo muscolare armonico del corpo, migliore sviluppo dell’apparato osteoarticolare e di quello circolatorio. Dal punto di vista psichico, contribuisce alla costruzione del proprio sé, alla capacità di comprensione e regolazione delle emozioni (autostima, sicurezza, insicurezza, ansia) allo sviluppo della creatività, alla capacità di autocontrollo sia in presenza che in assenza di uno scopo (situazioni completamente differenti).

La sfera della motivazione nello sport dei bambini, è meno semplice da circoscrivere rispetto a quella adolescenziale o adulta, poiché generalmente fino ai 12 anni sono soprattutto i genitori ad indirizzare i propri figli all’attività sportiva. Purtroppo però, spesso, sono anche loro stessi a scegliere quale tipo di sport far praticare al bambino. Utilizzo “purtroppo” perché lavorando sul campo ho potuto osservare ed esperire che sono i grandi a scegliere cosa far fare ai bambini, guidati dalle loro priorità organizzative (orari, luogo), dalla “moda” del momento (quello che fanno tutti), dall’illusione di un futuro ricco campione (sport dove si guadagna), dalle loro esperienze (come hanno vissuto loro la scelta), o, dal desiderio di replica o rivincita per qualcosa di non fatto o fatto da loro nel passato (siccome non ho potuto…io ho fatto … a me piaceva …)

È proprio per questo agire (se pur guidati da sentimento amorevole, affettuoso, benevolo) dei genitori che, investigare sulla motivazione nel bambino appare difficoltoso perché personalmente ho come la convinzione che le motivazioni degli adulti vadano a coprire e spegnere quelle del bambino.

La prima conseguenza di questo agire è il reprimere il diritto di scelta del bambino. È piccolo è inesperto è spontaneo è genuino, è pieno di aspettative di curiosità, ha il diritto di scegliere (cosa questa che non esclude la supervisione del genitore). Non consentire di sperimentare la scelta, potrebbe inibire la sua fantasia e la sua capacità creativa, poiché quando fa un’attività, il bambino nella sua mente disegna i suoi sogni, le sue fantasie, crea i “suoi personaggi” fantastici da imitare e, non meno importante, attraverso questo impara nel tempo a sentire e comprendere l’autostima, il proprio valore.  

Fare uno sport che non sente suo, dove non “riesce” come gli altri, dove non si diverte, può ferire il suo sé; il non sentirsi a proprio agio, annoiarsi, non avere la possibilità di esprimere a pieno le proprie energie psico fisiche, sono tutte condizioni che potrebbero spegnere l’entusiasmo al creare, al vedere e porre le fondamenta di un futuro adulto “sedentario” o di un adulto sensibilmente ansioso.

Fattore ancor più importante, non percettibile in alcun modo dal genitore, è, che, il bambino desideroso di compiacere al genitore, va ad assumersi un immotivato senso di responsabilità. Rispondendo alla scelta e motivazione del genitore, è come se sentisse in primis “di dover fare tutto bene” perché per lui il consenso e il piacere del genitore vengono prima di tutto. Non ha ancora costruito a pieno la propria autonomia e, questo lo rende vulnerabile, sa che da “solo” non può farcela.  Rifiutare l’ “oggetto” di soddisfazione (in questo caso lo sport scelto dei genitori) del suo papà e della sua mamma, per lui equivale perdere ammirazione, amore.

È necessario non dimenticare che il bambino, non avendo fisiologicamente raggiunto lo sviluppo cerebrale dell’adulto, non è in grado di costruirsi una sua identità, una sua realtà concreta, il suo “io sono, io valgo”, e, dunque sente di dipendere dai soli genitori. Rispondere si al genitore equivale per lui all’essere riconosciuto, tuttavia, inconsapevolmente, è anche negarsi la possibilità di sentirsi importante per quello che è, e, non per quello che fa.

Molti genitori utilizzano anche lo sport per far passare e insegnare al bambino a vincere le sfide della vita, in egual modo il bambino impara a costruisce la sua autostima solo in base al risultato: “se supero sono …; se non supero non sono…” sviluppando così una fragilità di base interiore che andrà a condizionarlo anche in età adulta.

Di norma diciamo che fino ai 4 anni si può parlare di semplice attività fisica che dovrebbe essere rappresentata dal gioco attivo in compagnia dei coetanei o dei genitori e famigliari. L’attività è caratterizzata da momenti di gioco istruttivi e poco strutturati. I bambini di questa fascia di età hanno bisogno di giocare all’aria partecipare ad attività divertenti che lascino spazio alla scoperta, con poche regole e istruzioni semplici: correre, nuotare, rotolarsi, giocare a palla. La motivazione prima è il divertimento, è sentirsi liberi, è cadere, rialzarsi con il sorriso.

Successivamente e, fino a circa 10 anni, fascia di età questa importante, la scelta dello sport dovrebbe avvenire spinta ancora dalla motivazione di divertirsi, di fare amicizia, di stare con i suoi coetanei a cui si aggiunge la voglia di fare “senza impegno”, senza “voto”(senza qualcosa di ufficiale). È probabile che il bambino in questi anni cambi più sport per poi alla fine scegliere quello preferito. Il compito del genitore in questa fascia di età si potrebbe tradurre nella parola di attento consulente.

Come fare questo? Spiegando delicatamente e con il linguaggio del proprio bambino, ad esempio se sceglie uno sport perché lo fanno i suoi amici, quali sono le caratteristiche di quello sport e che cosa richiede la pratica di quello sport. Facciamo un esempio se ho un bambino di piccola statura che si avvicina al basket perché i suoi amici lo fanno, si può spiegare che tutti possono praticare basket, tuttavia in quello sport l’altezza è un elemento che facilita molto la pratica. In questo modo se il bambino sceglie comunque di seguire il basket, lo fa con e per il piacere per divertirsi e di stare con gli amici, serenamente consapevole di un suo limite. Questo lo difenderà dal pretendere “troppo” (fonte di stress) da se stesso.

Una tecnica che nell’ambito della mia professione suggerisco ai genitori, è quella di chiedere e dialogare con il proprio bambino: “Quali sono le caratteristiche fisiche che senti di avere?” (ti senti veloce, agile, furbo, forte, alto, basso, magro, robusto, sveglio…); dopodiché insieme pensare a più sport che contengano o richiedano una o più di queste caratteristiche e, portarlo a scegliere (condivisione che unisce e alimenta fiducia reciproca). Il bambino sceglierà in base ad una sua motivazione (sviluppa autonomia) pur sotto la supervisione del genitore.

Passati i 10 anni diciamo che il bambino dovrebbe essere già in grado di scegliere e orientarsi verso lo sport che “sente” più vicino a lui, motivato dal divertimento in primis, dal piacere di stare con gli altri, dal desiderio di sperimentare e migliorarsi, e, elemento nuovo, spinto anche da un iniziale intimo desiderio di mettersi alla prova, di sfidare e sfidarsi. Attenzione a non interpretare questo come desiderio di agonismo, il bambino, inserito nell’agonismo e non preparato a questo, se incontro l’insuccesso può vivere un dramma e abbandonare per sempre. La motivazione alla sfida, alla competizione possono manifestarsi semplicemente con il desiderio di praticare più assiduamente lo sport, o, nel desiderio di partecipare a piccole manifestazioni pubbliche per vivere nuove esperienze non per forza “condizionate” da un risultato.

I processi motivazionali nel bambino sono importanti quanto delicati, sono indotti da elementi della realtà che effettivamente sperimenta e vive e da elementi di un sua realtà fantastica. Questi fattori motivazionali si incontrano, si mescolano e creano spesso nel bambino una confusione, che, necessita del contributo dei genitori. L’apporto del genitore è importante, è necessario che sia una cooperazione, una condivisione, è non imposizione.

Direi che il bambino, così come l’adolescente o l’adulto, è spinto da sue preziose motivazioni alle quali da voce e, che non possiamo non ascoltare. La scelta dello sport per il bambino potrei così intenderla come il risultato o meglio l’intelligente compromesso tra le esigenze e caratteristiche fisiologiche del bambino, le sue inclinazioni e motivazioni e, le esigenze dei genitori.

Dr.ssa Loredana Borgogno
(Psicologia dello Sport e Psicologia della Comunicazione)

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Dimmi, ti ascolto, mentre tu cammini verso il tuo cambiamento... Psicologa, dopo un passato di atleta di livello mondiale, ho sentito che era giunto il momento di dedicare le mie energie, la mia passione, a chi vuole cambiare, a chi sente di voler superare l' "avversario" nascosto che oggi non gli consente di andare verso il suo traguardo.