Una signora dall’aspetto semplice e curato che sembra trasudare “timore” entra mano nella mano con un bambino dai capelli rossicci e viso chiaro lentigginoso.
“Buongiorno Maestra. Sono la mamma di T. ci siamo parlate tempo fa si ricorda, lo so è passato un po’ di tempo ma alla fine ho deciso di provare, lei è ancora disponibile sapendo cosa ha mio figlio?”
“Buongiorno. Mi ricordo bene di lei e sono lieta di conoscerla di persona, non solo sono disponibile signora sono felice di darmi e darle una possibilità, di fare un tentativo; mi rassicuri, lei lo vuole veramente? Perché il suo appoggio sarà determinante”. Il coinvolgimento umano è verità, nessuno è esperto è tuttologo piuttosto tutti siamo in evoluzione continua.
Mentre parliamo non manco di osservare T. che ruota gli occhi verso ogni direzione, ogni tanto li ferma mi guarda e poi ricomincia. Qualcosa mi fa ipotizzare che mi sta studiando, sguardi reciproci veloci e intensi.
(foto repertorio personale. Non corrispndente all’articolo)
La mamma me lo presenta, T. non mi considera guarda altrove, così faccio io. Dopo poco mi abbasso e porto lo sguardo nella stessa direzione di T, come per fargli capire che è lui che mi guida e non viceversa. Appare distaccato e quando sembro rinunciare a un cenno da parte sua, T dice: “si“.
Nel si di T. possono rientrare mille parole da un ciao… a un no …a un vedrò …a un che succederà adesso… solo lui sa. Quello che sento è che il messaggio è tanto oltre a quanto mi aspettassi. È probabile che T non percepisca il significato del mio oltre, non mi lascio condizionare, accolgo la mia sensazione di reciproca apertura, di un primo passo verso il “noi”.
Invito la mamma a far indossare la tuta al bambino, improponibile pensare di fargli indossare un piccolo judogi, sarebbe un trauma ora come ora, cambiamento troppo forte. Arrivano pianti e urla di protesta dallo spogliatoio, T si ribella.
La lezione è in fase di avvio preparo gli altri 10 piccoli judoka a questa speciale lezione, dico loro: “bambini oggi sarà magica la lezione avremo un nuovo amico, un piccolo amico un po’ spaventato che ha bisogno di essere tranquillizzato, ci state ad aiutarmi a farlo sentire al sicuro?” .
Sono entusiasti i piccoli judoka, quasi sono loro a rassicurare me. Non dovrei stupirmi, come non potrebbero essere tali sono bambini! Sono felici di essere responsabili di un compito nuovo!
Ecco Il piccolo T che si avvicina al tatami ancora irritato oppositivo, le guance rosse, la mamma gli parla: “T non accade nulla sono qui..”. Mi porge la mano del bambino come per passarlo a me e, invece: “sia gentile signora salga pure con suo figlio sul tatami”.
“Ma come io?” mi dice e con un sorriso che passa dalla gioia alla incredulità: “non ho nemmeno la tuta!”. Sorridendo: “lei indossa l’abito adatto ad ogni situazione, quello di mamma, si limiti a togliere i calzini al resto ci penserò io e i miei piccoli judoka”. La mamma sempre più stupita, accetta.
L’amore di una mamma sente cosa è bene e cosa non lo è per il proprio figlio. Il suo amore ha sentito che in quel momento il dojo era il posto giusto e che si poteva fidare di me e dei bambini presenti.
Il programma che poc’anzi mi ero disegnata dettagliatamente nella mente salta, la pancia in quell’istante si è messa in contatto con il sentire del bambino e ha suggerito quel passo. La mamma è la porta di ingresso insieme entreremo nel mondo di T e non portiamo lui nel nostro, non lo accetterebbe adesso.
T.sale con la mamma, scappa o sta? è il momento del saluto che, nell’occasione, scelgo di eseguire in piedi. La mamma si china per il saluto stacca la mano, il piccolo T. non accenna ad alcun movimento, la guarda e subito dopo i suoi occhi ricominciano a scrutare tutto intorno.
Si inizia! Chiedo ai piccoli judoka di iniziare a camminare con passo spedito intorno al tatami, dramma!
Urla, T è oppositivo non vuole, tira i vestiti della mamma. È così inizia il percorso, la prima volta di T sul tatami. Così si avvia il nostro viaggio. Difficile complesso ma anche meraviglioso, la strada c’è, bisogna trovarla.
Lui non vuole o non può o non sa chissà forse tutte forse nessuna di queste motivazioni. Lui urla e basta, gesticola, vocalizza sue parole. Semplicemente adesso è nel suo mondo non ne esce e a me non resta che immaginare il suo per averlo tra di noi.
Cambio chiedo ai bambini di rallentare il passo e di seguire la linea rossa del tatami in fila perfetta, ognuno cinga con le braccia la vita del compagno davanti come per fare un trenino. Tutto sembra andare bene T cammina, poco dopo … si stacca ed inizia a correre in ogni direzione urlando. È in piena fase oppositiva momento in cui non servirebbe chiedere altro accenderebbe più fuoco, adesso serve contenere, serve il mio corpo!
Chiedo ai piccoli judoka di chiudersi in cerchio eleggo un “condottiero” della flotta. Deve dirigere i marinai! I piccoli judoka sono felici stanno navigando verso l’isola del tesoro!
Io sarò il marinaio in missione speciale e per questo devo uscire dal cerchio per un pochino invito la mamma a non intervenire a rimanere con la flotta a giocare con loro. Mi avvio verso T che si trova in fondo al dojo, salta urla piange.
Mi si stringe il cuore “la prima volta che lo vedo lo incontro e già sono costretta a chiuderlo con forza tra le mie braccia” che cosa penserà di me se penserà qualchecosa. Non ho tempo per farmi domande in questo momento ho due sole possibilità.
La prima trasmettere con braccia forti una sfida: “sono la più forte, tranquillizzati non puoi farcela”, la seconda: “sono qui accetto il tuo no, tu accetta la mia presenza”.
Ho scelto la seconda, ho scelto di stringerlo a me con forza guidata da un respiro calmo e con il battito del cuore immutato.
Ho scelto di stringerlo sedermi con lui e aspettare. Ho deciso di fidarmi di T.
Che magnifica avventura. T sa cosa vorrebbe e percepisce anche che qualcuno oggi impone delle regole chiede impegno e lo fa accogliendolo lo fa senza forza “costrittiva” lo fa concedendo lui del tempo, il suo tempo per capire.
“T sono felice di averti qui” gli sussurro. Non so se comprende so che ho sentito di dirlo. La mamma mi guarda. T inizia a calmarsi, inizia a rilassare il corpo e mi guarda. Ci guardiamo nessuna parola decido di lascarlo andare decido di staccare le mie braccia.
T si alza e corre per il dojo, non urla non piange, corre a passo più lento di prima, che conquista!
Torno dai bambini prendo il comando della flotta ringrazio il condottiero e si comincia a giocare, si corre in cerchio e la mamma con loro. Si eseguono esercizi semplici, cambio di passo, saltello, rotazione. La mamma sorride si diverte. I piccoli judoka sono spettacolari, nessuna differenza per loro!
Ho chiesto tanto ai bambini, non è semplice il momento, uno di loro si avvicina: “maestra forse se stiamo in silenzio T si avvicina”.
Ho il cuore che suggerisce di commuovermi, il ruolo dell’istante non me lo consente, posso sorridere non oso piangere, caricherei loro di un’emozione ulteriore.
“Grazie M., un bel pensiero davvero … aspettiamo un pochino e vediamo cosa accade mentre giochiamo se non riusciamo così proviamo con il gioco del silenzio, che dici diamo ancora un po’ di tempo al nostro nuovo amico o vuoi provare subito?” ci pensa “ok Maestra vediamo se T gioca con noi”.
Nel frattempo si è fermato sta guardando i bambini e la mamma come per far finta di nulla si avvicina sempre più fino a quando si mette vicino alla mamma e inizia a imitarla. Inizia a fare quello che fa lei.
Fantastica mamma paziente sorridente, ha dato fiducia sin dall’inizio!
Si corre T è con noi invito tutti a darsi la mano e a fare altri esercizi.
Eccolo il momento magico tanto atteso,
T da la mano ad un bambino l’innocenza dei bambini è vincente. Nella fase di cambio di esercizio chiedo alla mamma di cambiare posizione e lasciare che T possa dare entrambi le mani a due bambini.
T, viene catturato dal gioco, dai bambini, inizia a imitarli. Lascio libero proseguo ai bambini lascio che con calma guidino il resto della lezione.
Invito la mamma a venirmi accanto e: “la ringrazio per la fiducia, adesso T. è pronto a stare con noi, lei può serenamente scendere dal tatami”. Mi sorride emozionata.
T termina la lezione senza rendersi conto che la mamma è scesa dal tatami.
Il segnale forte che ha reso tutto questo possibile e che ho colto è stato il silenzio di T. dopo l’abbraccio contenitivo.
Il suo correre in silenzio è stato il messaggio di apertura come se: “dammi un po’ di tempo e arrivo”. Poteva urlare piangere scappare senza freno, non l’ha fatto!
Grazie T., grazie per la tua fiducia e grazie ai piccoli judoka sorprendenti! … grazie a me che ho seguito e creduto nella pancia!
Insegnare è prima un dono poi in dovere.
A tutte le mamme a tutti i papà che lo hanno fatto o che lo faranno: “grazie per queste indimenticabili opportunità!”.
Dr.ssa Loredana Borgogno
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Ti ho incontrata ti ho conosciuta e so che posso far tesoro delle tue parole. grazie Luigina
ImmaginoT., i bambini eccellenti complici, la mamma e te. Un’esperienza che riempie il cuore, credo che viverla lasci per sempre il segno. Lo fa anche solo leggendola. Grande Loredana, questo è judo, condivisione, amore.
Un abbraccio ?
grazie Mauro
Filippo ti ringrazio molto per le belle parole. Desiderio mio e sogno che perseguo è dare la possibilità di espressione a chi lo può fare.
Non tutti i silenzi ascoltano , non tutti i giochi i suoni i rumori vengono intesi come “lingua” …
Non tutti riescono ad abitare quella dimensione del tutto particolare che si trova oltre la voce di chi parla ed oltre le orecchie di chi sente
Sei una donna incredibile Loredana
Un abbraccio di tutto cuore .
Un articolo forte… molto molto forte .
Filippp.M
CON TE, LOREDANA, NON SI SMETTE MAI DI IMPARARE. Nel leggere questa storia rivedo tutte le mie esperienze e non posso che paragonarle a questa. Vince ciò che avvicina e non ostacola, tutto il resto non serve.
Mauro