Teddy: “Il momento in cui sento pronunciare il mio nome sento come una scossa, blocco come posso i pensieri negativi, mi controllo o meglio tento di controllarmi, ho proprio strizza, e, il più delle volte non va come potrebbe andare, intendo dire che potrei fare molto meglio”.

Teddy (nome di fantasia), 20 anni, con un fisico importante nelle forme, mi racconta la delusione dopo la sua ultima competizione.

Aggiunge: “poco prima di iniziare la gara, mi arrivano anche le solite parole del mio allenatore sei forte, fai quello che sai fare – queste parole, oggi non mi motivano, anzi ad essere sincero hanno un effetto contrario, quasi mi sento infastidito”.

Teddy mi spiega che le parole dell’allenatore lo destabilizzino, perché lui ha la sensazione che siano parole dette così per dire, le stesse ogni volta che va in gara. Si sente anche nervoso, perché il carico di quel “sei forte” non lo sopporta. Teddy non se la sente di dire all’allenatore che non approva quell’incitamento, perché: “mi dispiace, in fondo so che lo dice per motivarmi”. È moralmente appesantito anche da un sottostante senso di colpa.

Perché succede questo?

Accade che, nonostante l’allenatore utilizzi messaggi privi di parole negative o demotivanti, questi, si “scontrino” con le convinzioni e le credenze che Teddy ha su di sé.  Detto in parole semplici, lo stato d’animo e la valutazione che Teddy fa di se stesso, nel momento della competizione, non si allineano con lo stato d’animo dell’allenatore e tantomeno con la valutazione che l’allenatore fa di Teddy. In più, per Teddy le parole dell’allenatore sono “solite parole”, quindi lui non attribuisce alle stesse un valore di complicità, di empatia, le accetta come parole che “in fondo…”.

Suggerisco a Teddy di soffermarsi sull’espressioni che utilizza per descrivere la sua condizione, perché le stesse parlano di lui e della relazione con il suo allenatore.  L’espressione in fondo … potrebbe stare (nella sua mente) e arrivare come un “alla fine di tutto, se proprio devo, …”. Un “dovere” come può motivare?

Teddy, lo evidenziamo insieme nel percorso, non ha una valutazione così certa delle sue potenzialità, e non ha un senso di autoefficacia così solido da portarlo a immaginarsi vincente. Questo spiegherebbe la fatica che fa a contrastare i pensieri negativi e, altrettanto, la sua difficoltà nell’accogliere le parole dell’allenatore come motivanti.

Inoltre mi spiega che sei forte per lui significa vincere, dice esattamente: “chi è forte vince, chi non lo è perde”. Questo alimenta la sua paura di perdere (l’aspettativa dell’allenatore che lui percepisce è troppo alta) e, la profezia si autoavvera, pensa di perdere di non farcela, e così accade. Accade, proprio nelle competizioni che per lui hanno un’importanza maggiore.

Le parole dell’allenatore, involontariamente, vanno a rinforzare la convinzione mentale di Teddy: “quando dicono che sono forte vuol dire che sono destinato a vincere, dunque devo vincere, altrimenti non sono forte”. Si crea un programma mentale insidioso, favorisce l’insorgere dell’ansia di prestazione, le possibilità di vincere si dimezzano.

Cosa può fare Teddy?

Nell’immediato, per alzare le probabilità di vittoria, potrebbe rivedere il programma mentale forte=vittoria. Questo non sempre è vero. Ci sono tante variabili in una competizione: famiglia, tempo, ambiente, arbitro e …sì anche fortuna.  Variabili che esulano dalle proprie qualità, potenzialità e caratteristiche. Non è detto che chi vince sia sempre il più forte. Tutto cambia e tutto può cambiare.

Altro passaggio da fare subito, aprirsi con l’allenatore, trovare lo stile comunicativo che più gli appartiene, e serenamente far presente le sue emozioni. Nessuno può leggere nella nostra mente, quindi se non comunichiamo il nostro sentire, chi ci è accanto pensa e immagina secondo i suoi schemi.

Percorso poi da fare, modificare il processo e la modalità di autovalutazione. Ho avuto il piacere di accompagnare Teddy in questo cammino, di festeggiare con lui nuove vittorie e, soprattutto di assistere ad un suo importante cambiamento, di cui lui solo è unico protagonista!

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Dimmi, ti ascolto, mentre tu cammini verso il tuo cambiamento... Psicologa, dopo un passato di atleta di livello mondiale, ho sentito che era giunto il momento di dedicare le mie energie, la mia passione, a chi vuole cambiare, a chi sente di voler superare l' "avversario" nascosto che oggi non gli consente di andare verso il suo traguardo.